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mercoledì 18 ottobre 2023

Le religioni del mondo. Prefazione

 Le religioni del mondo

Prefazione


Arcobaleno


Dioniso


Maswcheras bruttas


Sant'Agostino da Ippona


Sciamani

Sotto qualsiasi denominazione - mistero, trascendente, divino, soprannaturale, separato, santo, tabù - il sacro deve esistere. Dal materialismo più superficiale, dal feroce agnosticismo alle illuminazioni mistiche o estatiche più sublimi, l'uomo non ha mai cessato di erigere ad assoluto uno o più valori per i quali è pronto, a reintrodurre tutto l'apparato dogmatico, mitico, rituale ed etico, senza il quale l'idea di religione, attualizzazione del sacro, non può essere compresa. 
La stesa parola religione, dal latino religare implica una relazione tra due mondi, un mezzo per <<legarli>>: uno è il nostro universo <<naturale>> e l'altro è quello del sacro. 
L'Arco, in certe mitologie, viene concepito come un ponte fra il mondo degli uomini e il regno degli dèi. Quando Noè, dopo il diluvio, ebbe abbandonato l'arca e offerto su un altare il suo sacrificio, egli venne benedetto da Dio con la sua discendenza; quale segno dell'alleanza fra il Creatore e la creatura fu post <<l'Arco>> fra le nubi: <<Esso sarà il segno dell'alleanza fra me e la terra. Quando radunerò le nubi sulla terra e apparirà l'arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza>>. Il sacerdote sarà il pontifex, che getta un ponte fra due regni. E' Dio stesso che costruisce e attraversa il ponte. <<L'uomo contemplativo>> ha scritto Yves Raguin <<al termine del suo lungo cammino, guardando la strada percorsa, potrò dire: fin dal primo sguardo, fin dal primo passo Dio era lì, ed io non lo sapevo>>.
Il sacro resta un gioco di opposti, Roger Callois: <<gli stessi sentimenti che il fuoco suscita nel bambino: stesso timore di bruciarsi, stesso desiderio di accenderlo; senza emozione davanti alla cosa proibita, stessa credenza che la sua conquista rechi con sé forza e prestigio, o ferita o morte in caso di scacco. E come il fuoco produce allo stesso tempo il male e il bene, il sacro sviluppa un'azione fasta e nefasta, ottenendo le opposte qualifiche di puro e impuro, di santo e sacrilego, che definiscono con i loro confini peculiari e le frontiere stesse del mondo religioso>>. Il sacro produce gli spiriti buoni e malvagi, il sacerdote e lo stregone, Ormazd e Ahriman, Dio e il diavolo. Anche sant'Agostino davanti al divino, viene colto da un fremito di orrore e insieme da uno slancio di amore: <<Et inhorresco>> scrive <<et inardesco>>. Il suo orrore deriva dalla presa di coscienza della differenza assoluta che separa, il suo essere dall'essere sacro; il suo ardore, al contrario, da quella della loro identità profonda. La teologia distingue la divinità in un elemento terribile e un elemento avvincente, il tremendum e il fascinans, per riprendere la terminologia di Rudolf Otto. Il fascino corrisponde alle forme inebrianti del sacro, alla vertigine dionisiaca, all'estasi e all'unione trasformatrice, è anche la bontà, la misericordia e l'amore della divinità per le sue creature; il tremendum rappresentza la <<santa collera>>, la giustizia inesorabile del Dio <<geloso>> davanti al quale il peccatore umiliato trema implorando il perdono. 
La società barbaricina è stata fortemente impegnata da una cultura di tipo dionisiaco, intendendo per tale tutte le valorizzazioni comportamentali legate al culto di Dioniso. La natura di questo dio era tradizionalmente crudele e sanguinaria nella gestione dei rapporti interpersonali. In questo caso la cultura barbaricina, ha recepito, e ancora conserva dentro di sé, movimenti emotivi ed affettivi alla base di alcune manifestazioni comportamentali della cultura dionisiaca, derivanti, dalla valorizzazione dell'omicidio rituale e sacrificatorio delle vittime, dalla valorizzazione dei complessi riti orgiastici con il culto del sangue umano e le manifestazioni aggressivo-guerriere delle cerimonie pubbliche e iniziatiche, nel corso delle quali era sbranata la carne cruda di animali vivi. Un esempio di culto dionisiaco ancora vivo e presente è sottolineato dalle maschere che accompagnano i riti di festa pubblica che accompagnano i riti di festa pubblica nel periodo carnevalesco barbaricino, che <<ha continuato a mantenere l'aspetto tragico da cui traeva origine ripetendo anno dopo anno con società, come in un rito, la commemorazione di Dioniso che ogni anno nasceva a primavera come la vegetazione>>. Il rito, inizialmente in onore di Dioniso, avveniva attraverso la passione e la morte di una vittima destinata a rappresentare la morte e la passione del dio stesso. Attualmente, dopo che i Romani proibirono sacrifici umani, il rito è stato simbolizzato. 
Questi riti, presentano la caratteristica di essere rappresentati in Barbagia con una modalità ancora selvaggia e cruenta. Ogni paese ha conservato qualcosa di questa raffigurazione che non ha nulla di gioioso, quello che prevale è l'aspetto tragico del rito. Cupo a mamoiada, selvaggio a Ottana, cruento a Lula, agreste a Ortelli. Il carnevale barbaricino, come ripetizione pur banalizzata e ritualizzata di un rito dionisiaco omicidiario, ha continuato a ripetere, in una fissità millenaria attraverso le <<mascheras bruttas>> (le maschere sporche), questi antichi riti orgiastici.











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