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domenica 29 maggio 2022

Streghe, demoni e inquisitori. Il delitto di stregoneria. L'Edit du Roi

 Streghe, demoni e inquisitori

Il delitto di stregoneria

L'Edit du Roi


Luigi XIV, 5 settembre 1638, 1 settembre 1715

Voltaire, nel 1764, nel suo Dictionnaire philosphique, ebbe a scrivere che <<... in Europa sono state mandate a morte più di centomila pretese streghe. Infine la filosofia da sola ha guarito gli uomini da questa abominevole chimera e ha insegnato ai giudici che non è il caso di abbruciare gli imbecilli>>. 
Un'affermazione che già conferma l'affievolimento di quella frenetica caccia alle streghe che da alcuni secoli ha percorso l'Europa. 
Con sentenza del 23 agosto 1783 André Brosse <<provato colpevole di avere partecipato a pretese magie e stregonerie utilizzando pratiche e cerimonie superstiziose, e di avere abusato della credulità e dell'ingenuità di numerosi abitanti della campagna>> venne condannato alla gogna. Due ore di esposizione al ludibrio della folla brulicante nella piazza del mercato di Bonnetable, in Francia, con al collo il solito cartello che lo designava <<preteso indovino e stregone>>. 
Cento anni prima André Brosse, sarebbe finito sul rogo vittima di un sistema e di una credenza che aveva fatto imperversare per tutta l'Europa cristiana una delle più grandi ecatombi che la storia ricordi.
L'editto di Luigi XIV non prendeva più in considerazione ciò che fino ad allora la superstizione aveva creato con le proprie incredibili impalcature e dare perciò all'uno e all'altro la misura reale, umana del misfatto e del colpevole. 
Il contenuto essenziale del sistema mentale che aveva legittimato la caccia alle streghe e agli stregoni, nascente dalla cedenza nella presenza del diavolo e del suo <<patto>>, trasgressione da condannare se e in quanto se ne trovava la reale esistenza configurantesi in cause ed effetti aventi riflessi e contenuti visibili. 
Il reo non era più da considerare una creatura del diavolo che attraverso il <<patto>> con Satana era venuto a conoscenza dei segreti della natura, in grado di produrre fenomeni straordinari. La strega e lo stregone per ottenere ciò da Satana, avevano dovuto preferire la sua amicizia a quella del Creatore: l'arte diabolica <<è quella che, con l'assistenza e mediante l'intervento dei demoni, in virtù di un patto espresso e tacito che il mago ha stretto con costoro, produce effetti straordinari ed esorbitanti dal corso e dall'ordine della natura, come pure dalla conoscenza degli uomini>>.
Streghe e stregoni non dovevano più subire nei processi la ricerca, del marchio satanico il cui rinvenimento valeva quanto una confessione, dato che esso costituiva la prova più esemplare del patto diabolico. 
La stregoneria veniva trattata in maniera diversa dagli altri delitti, con mezzi, che andavano dal <<giudizio di Dio>>, e finivano, sui roghi ardenti: ora essa, veniva punita per ciò che si accertava avesse commesso s'indegno la persona ritenuta colpevole, ma considerata come essere umano comune>>. 
Nell'editto che ufficialmente pone fine alla caccia alle streghe, non si fa mai uso del termine <<strega>>, <<stregone>>, salvo come indicazione di definizione generica e neppure del termine <<stregoneria>>, sostituito da quello più generale ma concettualmente determinante lo spirito dei nuovi tempi, di <<pretesa magia>>. 
Risultano due distinte categorie criminali: <<coloro che fanno uso di malefici e veleni>> e coloro che <<sotto la vana etichetta di indovini, maghi, stregoni ed altre consimili denominazioni, condannate dalle leggi divine ed umane, infettano e corrompono lo spirito del popolo coi loro discorsi e le loro pratiche>>. 
I rei rispondono di truffa, di impostura, di sacrilegio, di empietà, di profanazione, di veneficio; ma il tutto presuppone un debito nel quale non ha alcun gioco il trascendentale, il terrore di Satana, il credito nell'intervento diabolico, sul quale, si era fondato un tipo di giustizia ecclesiastica e civile che aveva inondato l'Europa di tanto sangue innocente. 
Mandrou :<<nel complesso è chiaro che l'editto, non riconoscendo che una "pretesa magia", comporta implicitamente la negazione del patto diabolico e delle pratiche caparbie legate al sabba, e ai malefici tradizionalmente denunciati dagli antichi demonologi. Questo silenzio totale equivale indiscutibilmente ad un rifiuto di considerare come validi tali capi d'imputazione: in ultima analisi le sole cose che contano sono gli atti sacrileghi e l'uso di veleni>>. Indovini, maghi e stregoni, se si limitano a sfruttare la dabbenaggine e l'ignoranza dei cittadini, rispondono di truffa e di impostura. 
La profanazione è reato ben più grave anche se Satana non è più alleato di chi ha commesso il sacrilego atto, la profanazione è il delitto che offende <<ciò che la religione ha di più sacro>>: essa va punita con la morte, così come il veneficio. 
Veniva cancellato l'ostacolo metafisico, e, ottenuta così l'eliminazione di Satana quale componente della caccia alle streghe, le norme dell'editto non erano altro che presa di coscienza individuale e collettiva nei confronti della paura che la confusione tra naturale e soprannaturale aveva reso, impossibile discriminare. 




venerdì 2 aprile 2021

Il tesoro delle scienze occulte. Gli stregoni. Le rappresentazioni sacerdotali del mondo delle tenebre

 Il tesoro delle scienze occulte

Gli stregoni

Le rappresentazioni sacerdotali del mondo delle tenebre 







Il Giudizio universale di Bruegel il Vecchio, 1558




La bocca dell'Inferno. Jacobus da Theramo, Das Buch Belial. Augusta. 1473




I demoni contendono l'anima di un moribondo agli angeli. Ars Moriendi. Augusta. 1471 circa


San Michele che sconfigge il drago, di Martin Schongauer, 1420-1488


Per tutta l'epoca in cui il cattolicesimo resse le sorti spirituali dell'Europa, ci fu - a opporsi alla chiesa del bene - una chiesa del male; contro la chiesa di Dio, una chiesa del demonio che come l'altra aveva i suoi preti, i suoi riti, il suo culto, i suoi libri, le sue adunate, le sue apparizioni. 
La chiesa indicava l'esistenza del diavolo non come uno scherzo o una facezia ma come un articolo di fede. Non potendo le masse analfabete andare a ricercare nei libri di teologia riservati al clero i particolari necessari per farsi un'idea esatta di questo principe delle tenebre, la sua effige, a uso del volgo, si trovava riprodotta a profusione nei timpani dei portali delle cattedrali, sulle vetrate delle chiese, nei bassorilievi dei cori, agli angoli delle grondaie e dei tubi pluviali che si popolavano di tutta una fama fantastica rappresentante in lineamenti presunti degli abitatori e padroni dell'inferno. 
Il giudizio universale è il soggetto ricorrente preferito dagli scultori del periodo ogivale, probabilmente d'accordo col clero, per la decorazione delle facciate delle chiese sino al secolo XIV. Tali scene contengono sempre un certo numero di demoni nella rappresentazione dei quali gli artisti hanno dato libero sfogo alla loro straripante immaginazione.   
Uno dei più antichi esempi di scultura di questo genere è quello che orna il timpano della facciata occidentale della cattedrale d'Autun, che risale all'IX secolo; nella sua fattura arcaica e nella sua esecuzione primitiva non mancano tratti di viva bellezza e i visi di alcuni angeli e di alcuni beati sono d'una perfezione stupefacente. 
Questo timpano è suddiviso in tre piani sovrapposti. Nel piano inferiore i mortali, risvegliati dal sepolcro, si avviano verso il giudizio in fila, e quì è particolarmente accentuata l'espressione degli atteggiamenti dei volti. Giunti verso l'estremità destra della composizione, essi vengono afferrati da due mani gigantesche che ne serrano il volto in una specie di morsa e li sollevano al piano superiore in cui ha luogo il Giudizio. 
Alla volta celeste è sopra una bilancia l'anima del defunto viene messa su uno dei piatti che un angelo cerca di far pendere dalla propria parte. I demoni sono cinque e d'una bruttezza uniforme, quasi stilizzata; uno d'essi cerca di far pendere la bilancia dalla sua parte tirando il piatto, mentre con l'altra mantiene un dannato per la collottola, quasi fosse un gatto: una specie di serpente gli sta aggrovigliato intorno alle gambe. Un altro demonio più piccolo si è addirittura messo senza tanti complimenti sul piatto stesso della bilancia; un terzo con in mano un rospo enorme sembra assistere in preda alla rabbia all'operazione. Dietro a questi, un demonio, in una posizione alquanto inverosimile, infila alcuni dannati in una tinozza, mentre un quinto, sporgendosi col busto fuori dalle fauci mostruose d'un drago, afferra con due braccia alcuni dannati che già forse credono, poveretti, di sfuggire al supplizio eterno.
Lo scultore, ha riservato ai demoni i più vistosi difetti di proporzioni: essi sono allampanati e scheletrici, hanno gambe e toraci scanalati come colonne romane, mentre il rictus della bocca ispira tale raccapriccio da rendere più terribile la ferma serenità del Giudice eterno, assiso nella sua gloria e sovrastante tutta la scena. 
Molto più ricca e varia è la scena del timpano della cattedrale di Bourges che tratta lo stesso tema. Un angelo ampio e disteso tiene nella mano destra la bilancia del giudizio, che un piccolo diavolo dalle orecchie di pipistrello installato su uno dei piatti non riesce a far pendere dalla propria parte (fig. 4.) Con l'altra mano l'angelo accarezza affettuosamente la testa di un grazioso bambino nudo che non manifesta alcun timore di essere dannato osservando che la bilancia su cui viene pesata la sua anima pende decisamente dalla parte delle buone azioni. 
Un diavolo lo spia, ma si tratta d'una creatura ben diversa di quelle d'Autun, con un viso maligno e sarcastico che fa di lui il diretto predecessore di Mefistofele: questo è già indubbiamente il diavolo dei maghi, il diavolo dei patti, colui che assisterà più tardi troneggiando al sabba e giocherà tiri scandalosi alle suore di Loudun. Egli è persino più conforme all'antica tradizione dei padri del deserto, in quanto ritroviamo in lui il naso a uncino e i corni del demonio che, a quanto dice sant'Antonio, tentò san Paolo l'eremita. 
Gli altri due diavoli di questa scena presentano caratteri diversi e notiamo in essi deformità anatomiche e patologiche che diventeranno d'ora in poi gli attributi essenziali del demonio: due d'essi hanno infatti sul ventre un secondo viso tondo come la Luna, mentre un altro diavolo con ali sul posteriore, presenta sul petto due seni a forma di testa di cane. 
All'estremità della scena c'è la caldaia infernale, d'un realismo fantastico e sconvolgente. Il fuoco è fornito da una mostruosa figura riversa che dalla bocca smisuratamente larga sputa fiamme; su queste soffiano, per attizzarle, due demoni dal volto avvinazzati, patibolari e truculenti; è questa la famosa gola dell'inferno, il gorgo dell'abisso, il marasma di zolfo e pece che non si estinguerà per tutta l'eternità. 
Questo fuoco riscalda una vasta tinozza in cui cuociono i dannati, azzannati per di più da animali ripugnanti; un diavolo di cui non si vede il volto li pigia con brutalità, mentre un altro li ammucchia con una specie di bastone dalla lunga impugnatura. Nello spaventoso realismo con cui è trattata questa scena si riscontra l'influenza, di alcune pagine della letteratura medievale, come le visioni di san Salvo e dall'abate Sonniulfo riferite da Grégoire de Tours, o quelle del monaco d'Eversham del XII secolo, di cui Mathieu Paris ci ha lasciato una impressionante descrizione. 
I monumenti della scultura medievale, quale che sia la loro importanza, non sono altro che vestigia, dato l'incalcolabile numero di distruzioni dovute alle cause più disparate - vandalismi, trasformazioni o demolizioni di edifici - non sarà difficile giungere alla conclusione che la scena del giudizio universale doveva essere riprodotta in tutte le chiese d'un certo rilievo della cristianità. 
Sul timpano dell'abbazia benedettina di Conques nell'Oveyron, un diavolo brandisce una specie di minaccioso bastone col quale batte i dannati; nel portale del duomo di Bamberga in Baviera un altro demonio tira un dannato con una catena. 
Di fronte alla teologia, o scienza di Dio, la demonologia, o scienza del demonio, sua odiata rivale, trovava posto sul portale stesso dei templi che ospitavano la <<carne di verità>>. Chi avrebbe dunque potuto dubitare dell'esistenza di tutto questo mondo invisibile e oscuro che opponeva l'esercito dei diavoli a quello degli angeli?  E' ben vero che i teologi dissertavano con molto maggiore insistenza sulla natura di Dio, sulla sua bontà, sulle sue qualità infinite, che non sui diavoli: volontariamente o no, questi li lasciavano in una specie di indeterminatezza che non poteva non eccitare la curiosità popolare. 
Nel momento in cui la scultura religiosa comincia a decadere per aver voluto rinnovarsi alle fonti pagane, l'arte cristiana accetta di piegarsi a forme primitive, come alla miniatura dei manoscritti o alle incisioni su legno degli incunaboli; le rappresentazioni infernali comunque passano nelle nuove arti ed esercitano sullo spirito umano la stessa influenza. Il famoso affresco diabolico della cappella di Stratford-on-Avon e quelli del camposanto di Pisa continuano la tradizione dei secoli passati, andando, grazie alla loro arte più facile, ben al di là delle già audaci creazioni degli scultori. 
Un incunabolo tedesco di Jcobus da Theramo stampato ad Augusta nel 1473 e intitolato: Hie hebt sich an das bich Belial genant o più semplicemente Don bich Belial contiene un'incisione su legno rappresentante la bocca dell'inferno (fig. 5) che non ha nulla da invidiare  alle più orripilanti composizioni scultoree del XII secolo. La gola del drago è tenuta aperta da un solido palo di legno ai lati del quale stanno due diavoli, l'uno con l'occhio atteggiato a un'espressione spaventosa e l'altro con un riso da buontempone sul volto, espressione tanto più minacciosa dato il tipo di personaggio. Sul fondo ce n'è un altro che mostra un volto rabbioso, mentre il loro padrone Belial se ne sta al di fuori dell'abisso tenendo con essi un misterioso conciliabolo. 
I pittori del XVI secolo, mitigarono la crudezza dei particolari e soppressero ogni creazione fantasiosa nelle loro interpretazioni e soppressero ogni creazione fantasiosa nelle loro interpretazioni del giudizio universale, adottandone la rappresentazione alle esigenze di un'epoca già intaccata dallo scetticismo; ma gli incisori soprattutto fiamminghi e gli olandesi, dando libero sfogo al loro temperamento, si abbandonarono a vere e proprie orge della fantasia in cui si nota ancora una certa ingenuità, o una certa mancanza di rispetto. 
Luca Cranach. il Vecchio (1472-1553), interpreta la scena in cui al termine del giudizio i dannati sono gettati nell'inferno (fig. 3). Il diavolo-istrice, l'orribile grifone il cui capo è costituito da un teschio di tapiro sormontato da un berretto, il maiale alato che tortura un chierico prevaricatore e il mostro che cavalca una donna introducendole nella bocca una lama metallica appuntuta, sono creature che ritroviamo spesso negli incisori del XVI secolo. il diavolo-istrice che vediamo a destra, l'orribile grifone il cui capo è costituito da un teschio di tapiro sormontato da un berretto, il maiale alato che tortura un chierico prevaricatore e il mostro che cavalca una donna introducendole nella bocca una lama metallica appuntita, sono creature che ritroveremo spesso negli incisori del XVI secolo. 
In una stampa del maestro fiammingo Bruegel il vecchio, incisa nel 1558 da Cock (fig. 6) che, in una composizione a prima vista severa, introduce i particolari più stravaganti. La composizione di questa scena del giudizio è uguale a quelle delle cattedrali: il Figlio dell'uomo, assiso tra le nuvole, pronuncia le parole fatali: <<Venite, benedicti Patris mei, in Regnum aeternum; ite, maledicti Patris mei, in ignem sempiternum>>. La gola immensa dell'inferno occupa la parte destra del quadro ed è rappresentata dalla bocca di un pesce di proporzioni coloniali. Il torrente dei dannati vi si precipita; i demoni che li spingono non hanno più la figura umana deformata dei secoli precedenti, ma assumono le forme più assurde: uccelli da preda, rettili, batraci inverosimili gnomi dal becco piatto e dalle mandibole mostruose che sembrerebbero ispirati dalla forma preistorica e dalla paleontologia, se queste scienze a quell'epoca fossero state conosciute. 
Nelle incisioni di Hieronymun Bosch, incisore olandese (1460-1518). La sua composizione dal respiro immenso è animata da un movimento, da una frenesia e da una vita tumultuosa e malata: e un turbinio di esseri indefinibili e malefici, nelle pose più indecenti e contorte, qualcosa che ricorda il sabba. 
Una scena analoga a quello del giudizio universale, del XVI secolo, è quella della Discesa di Gesù all'inferno ci mostra Gesù Cristo che trionfa su un demonio, mentre altre due creature infernali cercano di impedire la figa dal limbo ai giusti che il Salvatore viene a liberare; i tre guardiani dell'inferno hanno quì volti d'uccelli rapaci, complicati da tentacoli e speroni, come corazze d'ippocampo o armature bergamasche. 
Bruegel: I giusti liberati dal limbo. Il Cristo in un medaglione centrale mantiene tutta la imperturbabilità nel liberare la folla dei giusti dal limbo, senza alterarsi di fronte alla grottesca fama infernale che lo circonda, come quell'essere indefinibile sormontato da un elmo con visiera e il cui corpo è qualcosa di mezzo tra un maggiolino e l'uovo; il guscio si apre per lasciare uscire una nidiata di bambini liberati. 
L'arcangelo Michele trionfa su Lucifero. Questa scena, si ricollega alle più profonde radici della teologia: l'angelo sconfitto identificato col Satana dell'Antico Testamento viene di solito rappresentato in forma di drago, così come appare nelle vetrate delle cattedrali dei secoli precedenti. 
Verso la fine del medioevo la scena del giudizio individuale, che di rado la scena del giudizio individuale, che di rado figura nelle chiese, assume una certa importanza e tende anzi a sostituirsi a quella del giudizio universale, fino al punto che uno dei soggetti trattati più sovente dagli artisti diventa il moribondo affiancato da angeli e demoni che se ne disputano l'anima. 
(Fig. 10)L'Ars moriendi, pubblicato ad Augusta tra il 1470 e il 1471. Un monaco consegna a un moribondo un cero acceso, mentre il coro degli angeli ne raccoglie l'anima rappresentata da una figurina nuda, a destra la crocifissione per significare che il moribondo partecipa ai meriti della croce del Salvatore. Ai piedi del letto però troviamo i nostri bravi demoni del timpano delle cattedrali sotto apparenze grottesche e orride: uno ha la testa di cane rabbioso, un alto di asino che getta alti ragli; un terzo, ai piedi della croce, è una caricatura di ebreo, mentre altri due con occhiali si contorcono mostrando zoccoli biforcuti di capra e poggiando su zampe a tre dita da gallinaceo. In un coro di rabbia e di disperazione nel vedersi sfuggire quell'anima, gridano come spiega la scritta delle banderuole: 
Heu insanio
Spes nobis nulla
Animam amisimus
Furore consumor
Confusi sumus

IL poema, la cui influenza fu fin dalla fine del XIII secolo piuttosto importante in Europa, contribuì ad affermare le verità religiose incontestabili. Eppure questo inferno più moderno, più filosofico, con i suoi cerchi di dannati e il suo particolare simbolismo e diverso dall'inferno tradizionale. Il poeta, immaginando il castigo supremo per Giuda Iscariota, il più grande criminale dell'umanità, lo fa divorare dallo stesso Satana: .. è Giuda Scariotto Che'l capo ha dentro e fuor le gambe mena (Inferno, Canto XXXIV). 
La vigorosa incisione su legno è tratta da un'edizione italiana: Opere del divino poeta Danthe; Venezia, Bernardino Stagnino, 1512, in 4°. Satana vi è rappresentato con una testa a tre volti, e mentre con la bocca anteriore diversa l'Iscariota, le sue due bocche laterali divorano ciascuna un dannato. 
In tempi a noi più vicini, in paesi arretrati poco sensibili alle raffinatezze della civiltà, la chiesa presenterà ancora al popolo il diavolo sotto una forma più volgare; ricorrendo alle risorse della meccanica per dar luogo ad una puerile fantasmagoria. 
In un mobile conservato al museo di Cluny a Parigi, probabilmente d'arte calabrese, eseguito verso l'inizio del XVII secolo, alcuni hanno creduto di riconoscervi una rappresentazione del cattivo ladrone mentre è abbastanza certo che il personaggio oscuro dal viso contratto e orribile che mostra una enorme lingua rossa è un diavolo che appare ad una finestra praticata nel mobile, simile ai teatrini per marionette. Un ingegnoso sistema di corde, pulegge, molle e contrappesi, che funziona ancor oggi, permetteva di far apparire a comando questa figura mostruosa, per terrorizzare qualche peccatore incallito e ribelle che si rifiutava di confessare le proprie colpe. 
In fine se arriviamo all'epoca delle creazioni popolari, sono innumerevoli i documenti iconografici che hanno come fine quello di produrre nelle anime lo stesso terrore suscitato in molte epoche delle sculture delle cattedrali. 
La buona confessione: un penitente arriva dalla destra della scena incatenato da un diavolo cornuto e ricoperto solo d'un perizoma; una penitente confessa le sue colpe nel confessionale e la grazia che discende dai meriti del Cristo spezza le catene che la legavano ad un altro diavolo, un terzo penitente esce a destra del confessionale condotto dal suo angelo custode, mentre un altro angelo gli tende una corona dal cielo. Nei due medaglioni degli angoli superiori vediamo il figliol prodigo peccatore e quindi lo stesso che si concilia col padre. 
La cattiva confessione: un diavolo dal grugno sordido si è infilato sfrontatamente nel confessionale e tappa la bocca d'una penitente che nasconde le proprie colpe. A destra e a sinistra sette diavoli conducono sette penitenti incatenati, che si direbbe abbiano commesso ciascuno uno dei sette peccati capitali, a giudicare dai quadri retti dai diavoli essi rappresentano la collera mediante un uomo che brandisce una spada, l'orgoglio nelle vesti di un pavone che fa la ruota, la lussuria un convegno d'amore, la pigrizia con un uomo che dorme Due diavoli tendono alle loro vittime una borsa di scudi e una bottiglia che simbolizzano l'avarizia e l'ubriachezza; infine c'è l'invidia, che il diavolo cerca di suscitare mostrando la borsa di scudi dell'avaro. 





























giovedì 21 gennaio 2021

Il tesoro delle scienze occulte. Gli stregoni. Il mondo delle tenebre rivale del mondo della luce

 Il tesoro delle scienze occulte


Gli stregoni


Il mondo delle tenebre rivale del mondo della luce


Streghe


Rituali satanici


Rituali nei cimiteri







Le diverse dottrine religiose dell'antichità avevano popolato gli spazi eterei di creature che non si temeva di definire in modo ben preciso, sebbene i comuni mortali non avessero il privilegio di vederli. A queste mitologie e teogonie gli uomini vollero associare tutti i problemi inquietanti che sfuggono e forse sfuggiranno sempre alle scienze esatte: il mistero del destino umano, i problemi della sorte e della fatalità, la conoscenza dell'avvenire; tutte cose che i più saggi ritenevano proprietà e appannaggio della prescienza di un essere infinito e supremo, mentre i più audaci volevano farne una vera e propria scienza, accessibile ai mortali nonostante la loro debolezza e la loro limitata intelligenza.

Il problema dell'origine del male, che ha tormentato la mente di Mani, di sant'Agostino, di Spinoza, di Pascal e di Leibniz, era stato arditamente definito nell'antica dottrina dei persiani, certo prima del mitico personaggio di Zarathustra. Essi, avevano fatto del bene e del male, fecero di tutto per ridurla; il Satana delle Scritture non è affatto eterno come Dio, e per quanto grande sia la sua potenza egli rimane pur sempre una semplice creatura, costretta a riconoscere, quando se ne presenti il caso, l'onnipotenza del suo creatore. Presso i cristiani, il diavolo è costretto a sottomettersi agli uomini, ricorrono ad alcune formule, salvo prendersi più tardi una clamorosa rivincita quando suona l'ora estrema della vita terrena. 

Nelle teogonie degli egiziani, dei greci e soprattutto dei romani, non sempre si può facilmente intendere se gli <<spiriti>> ai quali si indirizzandogli uomini per ottenere successo e aiuto siano buoni o cattivi, e in Giamblico e Porfirio regna un'allegra confusione tra angeli e demoni, tra spiriti buoni e spiriti malvagi eudaimons e kakodaimons. 

Sta di fatto, che uomini avidi di porre il piede sulla soglia del mondo invisibile e di aprire la porta infernale se ne incontrano in tutte le epoche della storia e non è privo si interesse lo studio dei procedimenti da loro adottati in queste pericolose esplorazioni. 

Tale studio deve essere condotto soprattutto ricorrendo alle immagini. Il documento iconografico, è dotato di una potenza di informazione e di un valore rappresentativo tale da correggere questa deficienza, rischiarando immediatamente le profondità oscure della storia e ponendo ciascun elemento nella giusta prospettiva. Esso è dunque preferibile alla narrazione descrittiva, per quanto abilmente questa sia condotta. Ed è proprio per ciò che, tutte le volte che abbiamo potuto scoprire una rappresentazione qualsiasi delle opere occulte, non abbiamo esitato a riprodurla, invece di inoltrarci in dottrine e teorie, a cui in questo libro abbiamo concesso ben poco spazio. 

Quasi in ognuna delle righe tramandateci dagli storici, dai filosofi e dai poeti troveremmo qualche manifestazione del mondo soprannaturale, dovremmo riprodurre tutta la statuaria greca ed egiziana, le argille con i caratteri cuneiformi, i papiri con i geroglifici, le stele e gli <<ostraca>>.

Dovunque, a Roma come ad Alessandria, si trovano tracce di tradizioni acculte. Innumerevoli sono quelle che rivendicano origini soprannaturali, dalla nobile e maestosa figura d'Apollonio di Tiana fino a quelle streghe, Canidia e Sagana, che Orazio presenta l'opera nei cimiteri.

La divinazione e l'evocazione dei morti, facevano parte integrante del culto presso tutti i popoli, a Roma, accanto alle Vestali stavano agli aruspici, anch'essi, come quelle, funzionari, e a tutti costoro si aggiungeva la folla dei maghi comuni, le cui pratiche sono troppo poco conosciute perché si possa tentare di descriverle con un minimo di esattezza. 


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